Ricordi di don Bruno Bertoli

Omelia del card. Angelo Scola Amministratore Apostolico di Venezia e saluto del card. Marco Cè Patriarca emerito di Venezia alla messa esequiale di don Bruno Bertoli (27 luglio 2011)

 

OMELIA DEL CARDINALE ANGELO SCOLA

“Separarci”… Questa parola che torna nel bellissimo e profondo passaggio della lettera di Paolo ai Romani è ciò che viene al mio cuore, alla mia mente, in questo momento di congedo dalla delicatissima persona di don Bruno. Ma l’apostolo ci conduce al fondo di questo separarci, laddove questa esperienza di tristezza e di dolore si controverte e diventa in realtà l’espressione di una unione ancora più potente.
      Di che separazione è questione nel brano di Paolo ai Romani? Della ipotesi irrealizzabile della separazione dall’amore di Dio. “Chi ci separerà dall’amore di Dio?” In pochi versetti questo tema torna tre volte e la nostra esperienza di oggi, l’essere davanti alla bara, alle spoglie di don Bruno, è ricompresa in tutti i modi dalla stretta di questo amore.
      Anzitutto l’esperienza della vita, dell’esistenza di don Bruno.
      «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» e il rafforzativo del salmo «Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati pecore da macello».
      Ognuno di noi per il suo rapporto personale di conoscenza con don Bruno può mettere dietro a queste parole tratti della sua vita, elementi della sua fisionomia spirituale ed umana, situazioni di prova fisica e di prova morale che egli ha dovuto sostenere. E da tutte queste cose è uscito vincitore, proprio in forza di colui che lo ha amato così come ama noi e questi ultimi anni della sua vita l’hanno ben documentata questa vittoria, nel suo sorriso candido e nei suoi giudizi penetranti. Ma ancor più radicale è la vittoria di questo amore di Dio in questo momento.
      “Io sono persuaso”, e noi siamo persuasi con Paolo, “che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezze, né profondità, né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù nostro Signore”.
      Non ci sono elementi creaturali visibili, compresa la morte, e invisibili, secondo la percezione della totalità dell’essere che a quel tempo si possedeva, che possono rompere questa stretta dell’amore di Dio che si è intrecciata con la vita personale di don Bruno, per cui realmente in lui la morte è passaggio, è passaggio alla vita, non alla vita naturale a cui fa allusione Paolo ai Romani, ma alla vita, alla vita per sempre, che per la fede e per la potenza del suo pluriforme ministero è stata da lui anticipata lungo questa esistenza terrena.
      In un colloquio, una decina di giorni fa in ospedale, quando era ancora molto sereno, mi diceva che non desiderava passare al Signore in questo momento della sua vita, gli sembrava di aver dato tutto e gli pesava non poter continuare nel suo ritmo abituale; ma era disponibile a tutto e mi dette la percezione che ce l’avrebbe fatta. Il Signore ha disposto diversamente e allora lui ora è con noi secondo la modalità propria di tutti i nostri cari che ci hanno preceduto all’altra riva.
      Guai a noi, guai a noi, se la loro presenza scomparisse o si perdesse nei labirinti di una memoria fragile quale può essere la memoria umana.
      Altri meglio di me diranno di don Bruno. Tutti noi dovremo fare veramente tesoro di ciò che egli è stato. Ma io un grazie particolare glielo voglio dire perché mi ha sostenuto fin dall’inizio con la sua discrezione e delicatezza, e mi ha appoggiato anche riservatamente in talune scelte delicate e difficili. Fu il primo prete con cui parlai dell’idea del Marcianum, un po’ tremebondo; egli si buttò a capofitto, mi spinse in tutti i modi, accettò da subito di entrare nel Comitato Scientifico e anche dieci giorni fa mi confermò la bontà della scelta. È solo un esempio dei tanti consigli che con discrezione totale egli sapeva darci; ma sono certo che voi potete produrre testimonianze assai più significative di questa per ciò che riguarda il vostro cammino e la vostra vita.
      Un’ultima cosa voglio dire, che sta sicuramente molto a cuore a taluni di voi che me l’hanno segnalata. Egli è stato veramente un servitore fedele, fedele, della parola di Dio come elemento esaltante la libertà dell’uomo e i due brani, la prima lettura e il santo vangelo che sono stati opportunamente scelti, dicono di questo suo carisma straordinario. Basta pensare a certi suoi scritti, a come parlava dei mosaici di San Marco, a come cercava sempre il massimo di serietà nella larghezza della comprensione, la vivezza della misericordia disgiunta dal giudizio. Ha seminato la parola di Dio senza pretesa di successo - ecco il senso del vangelo – dove cadeva, cadeva, il seme, perché troppo forte era il padrone verso la libertà dell'altro e troppo evidente era la potenza creativa della parola che egli seminava, come ci ha ricordato il passaggio di Isaia.
      Allora, mentre affidiamo al Signore il nostro carissimo don Bruno, noi ci assumiamo con le nostre forze la responsabilità di continuarne la missione.
      La nostra Chiesa, la Chiesa di Venezia, ha bisogno di sacerdoti che sappiano guardare a queste grandi personalità, a questi grandi vecchi che ci hanno preceduto nel cammino, che ancora oggi ci danno idea di una pienezza di sacerdozio che forse ad alcuni sfugge, sfugge forse ai più giovani. Guardiamo, guardiamo a questi nostri santi – non è necessario avere l’aureola! La nostra Chiesa si irrobustisca perché trovi quella pienezza di cammino a cui l’umanità di oggi aspira. Questa Chiesa di Venezia ha in proposito una grandissima responsabilità nell’intensità affettiva che si stabilisce con i nostri cari che ci precedono all’altra riva, deve diventare una sorgente di creatività cristiana, equilibrata, al servizio di tutti i nostri fratelli uomini secondo l’apertura che egli sempre ci ha insegnato.
Per questo realmente chiediamo al Signore di saper vivere questo passaggio nell’ottica della fede e con la decisione di un rinnovato slancio e di un impegno più sensibilmente attento alla domanda inquieta ma verace del mondo di oggi.
Amen.

 

SALUTO DEL PATRIARCA EMERITO MARCO CÈ

Nella notte che volgeva dal sabato alla domenica, il Signore Gesù ha chiamato don Bruno Bertoli nella Casa del Padre.  
      Don Bruno: un prete, dalla vita esemplare, integro e dal temperamento forte, che nel servizio del Vangelo aveva trovato il suo tesoro e la perla preziosa, e per il Vangelo ha speso la vita.
      Uomo di cultura, ha dedicato molti anni della sua vita allo studio e all’insegnamento in Seminario e nella Scuola Statale.
      Fu prete sempre: qualunque cosa facesse, studiando, scrivendo, insegnando, non ha mai perso di vista due obiettivi: la centralità della Parola di Dio letta nella Chiesa e l’attenzione alla formazione dei fedeli laici, in particolare, per un certo tempo, dei giovani di cui condivise, non senza sofferenze e incomprensioni, il travaglio d’un’epoca di passaggio, particolarmente nei difficili anni postconciliari.
      Per quanto cultore della storia, di quella della Chiesa di Venezia in modo speciale, si confrontò con animo aperto con la modernità.
      Incaricato dell’ufficio per la pastorale diocesana della cultura, valorizzando una rete di vaste e valide collaborazioni, diede vigore allo Studium Cattolico Veneziano, inizio e sviluppò la Scuola Biblica che gradualmente si diffuse in tutta il Patriarcato, accompagnò la nascita e la crescita del Centro Pattaro pensando soprattutto alla formazione teologica dei laici e, non meno importante, promosse con tenacia una lettura non solo profana delle opere d’arte, collocandole sempre nel contesto vivo in cui sono nate, che era per lo più, un contesto di fede.
      Non comprenderemmo però Don Bruno se ci limitassimo a leggerlo solo in chiave culturale. Egli fu soprattutto uomo del Vangelo e della Chiesa, in qualunque settore operasse. Basterebbe ricordare la sua predicazione, esemplare per il riferimento rigoroso alla Parola di Dio e per la sapiente contestualizzazione nella vita di ogni giorno e la vasta rete di relazioni con credenti e non credenti. Proprio l’impegno nel mondo della cultura gli consentì di allacciare rapporti sinceri e rispettosi con persone ai margini della vita della Chiesa, onorando il ministero dell’accoglienza e della misericordia.
      Per quanto impegnato prevalentemente in altri campi, i giovani rimasero sempre la sua segreta passione. Era commovente vedere questo vecchio prete dedicarsi sistematicamente, fino agli ultimi anni, nella lettura della Parola di Dio con un gruppo di giovani. I giovani, diceva, non si aspettano, si vanno a cercare.
      Egli ha amato la Chiesa, in particolare la sua Chiesa di Venezia, onorandola peraltro con il frutto dei suoi studi, promuovendo numerose pubblicazioni.
      Riservato e sensibile, era rigoroso con se stesso, ed esigeva rigore anche negli altri, talora non evitando qualche rigidità e durezza.
      Ora, purificato dalla sofferenza, riposa nella pace tanto desiderata, del suo Signore. Ha raggiunto il fratello maggiore Don Giuliano e gli altri suoi familiari. Lo consegniamo con sicura speranza alla braccia della infinita misericordia di Dio Padre e preghiamo per lui.
      Molti amici, uomini e donne, gli sono stati vicini nella sua malattia, assistendolo con amore: noi ne siamo ammirati e li ringraziamo con immensa riconoscenza.